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martedì 3 ottobre 2017

Continua a camminare


"Da non crederci. Sono sola, di notte, nel deserto, e cammino insieme ad uno sciacallo. Da piccola Khalid mi diceva che gli occidentali sono un po' come gli sciacalli; creature subdole che arrivano in silenzio, dal deserto, e non li vedi perché aspettano nel buio il momento giusto per saltarti alla gola; e come i caproni, perché non conoscono la bellezza di Dio. Un po' sciacalli e un po' caproni, come gli occidentali, mi diceva. E io me li immaginavo come creature con le zanne, gli zoccoli e le corna, che uscivano di notte dal deserto senza far rumore e ti saltavano alla gola. Mi giro, guardo lo sciacallo. Io non la penso come mio fratello, vorrei dirgli, non la penso come lui. Non sei affatto una creatura subdola, lo vedo, stiamo camminando insieme, stiamo anche respirando insieme, e questo ci rende un po' fratelli, no? Lui intanto saltella con quelle zampe lunghe.  Sento nelle orecchie la voce di Khalid: "Continua a camminare". "Cammino", dico. "Lo sto facendo, non lo vedi?". Ma mi accorgo che la voce di Khalid è cambiata, è piccola, sottile, come quella di un bambino. "Continua a camminare", mi ripete. Ma non è più la voce di Khalid. E' la mia, E' la mia voce quella che sento adesso, la stessa che ha chiesto allo sciacallo di camminare insieme, la stessa che gli ha detto fammi compagnia. E' quella voce, adesso. La mia."
  


Continua a camminare. Incontro alla vita o in braccio alla morte. Continua a camminare. Verso una strada inghiottita dal deserto, che c'è ma non si vede. Continua a camminare. Dov'è lo spartiacque tra il bene e il male, bellezza e distruzione?

L'autore sembra intravederlo in quel gesto umano chiamato "sorriso". Che è qualcosa di epidermico, spontaneo. Non puoi bleffare con il sorriso. Eppure esistono due tipi di sorrisi. Quello autentico, che sprizza gioia sempre e ovunque, anche quando sei li a rischiare la vita. E' il sorriso di Abèd, fratello di Salìm, che schiva bombe e fucilate, aggirandosi tra le rovine dei palazzi distrutti, per salvare "libri" da raccogliere un domani, finita la guerra, in una biblioteca. Perché attraverso i libri è possibile tramandare le conoscenze, le abitudini, le culture di un popolo; attraverso i libri passano vite; con i libri "si possono fermare i kalashnikov". Abèd che cerca in tutti i modi di proteggere il fratello, tenerlo al riparo, lontano dalla strada. Abèd che cerca le fondamenta della vita mentre la città ti crolla addosso. Abèd che, prima di morire, lascia a Salìm un libro di poesie.


Poi c'è il sorriso di Khalid, fratello di Fatma, che diventa presto opaco, spento. Un sorriso sprezzante, di circostanza, il sorriso beffardo di chi inganna. Khalid che regala alla sorella una cintura esplosiva per il suo compleanno. Khalid che pronuncia a Fatma parole strane, a cui lei, nonostante tutto, e andando oltre ogni evidenza, si sforza tuttavia di credere; perché lei quel fratello lo ama, è sangue del suo sangue, non farebbe mai una cosa del genere. Mandarla a morire, facendola saltare in aria al primo check-point.

Attraverso gli occhi di Salìm e Fatma, due giovanni tredicenni, il lettore attraversa scenari di guerra e di sabbia, di paura; entrambi sono in cammino verso mete che non hanno scelto, e a cui cercano di dare un volto, e un senso. Sono due percorsi agli antipodi, che nella narrazione si srotolano paralleli. Sullo sfondo c'è l'Islam, con le sue ricchezze e le sue contraddizioni, tra chi predica amore e misericordia, e chi invece semina morte e distruzione. Tra chi ti salva, e chi ti manda  a morire.

"Che odore aveva il tuo regalo, Khalid?"
 "L'odore di una cosa bella Fatma. E grande. Di una cosa fatta per la gloria del Signore".
"Davvero Khalid? Perché io non ne sono più tanto sicura".
 "Ma certo Fatma, è scritto nel Corano. E il Corano non sbaglia mai."
"Conosco il Corano, Khalid, forse lo conosco più di te adesso. Ma quello che dici tu nel Corano non lo trovo. Lo cerco, Khalid, ma non lo trovo. E allora, mi dico, se non è dentro al Corano, allora è qualcosa che è dentro di te, Khalid, e nel Corano ci finisce perché ce lo metti dentro tu. E se è così allora cambia tutto. Cambiano le parole, cambia il loro suono, il loro senso, cambia anche il loro odore, e si trasforma in qualche cosa che fa scappare perfino uno sciacallo".


Questo è un libro che attraversa la morte cantando la vita, e non si scompagina di una sola riga. Sibila e non fa una piega. Ha la bellezza ostinata di certi fiori appesi ai costoni di montagna, che bucano la roccia, prendono schiaffi dal vento e dalla pioggia, si piegano, ma nulla li sradica; e sorridono a qualcosa di più alto che sta lassù, nel cielo. Non stupisce allora che Gabriele Clima abbia appena vinto il Premio Andersen 2017 (miglior libro oltre i 15 anni) con "Il sole tra le dita", "per la capacità di affrontare tematiche e situazioni delicate senza scivolare nel didascalico. Per la volontà di non indugiare tra sentimentalismi, ma di inseguire la concretezza dei legami."

Non stupisce allora il finale "biblico" di Fatma, la "Rosa di Damasco", una creatura preziosa oltre ogni misura, perché ama e perdona; quel fiume che affiora dal deserto e la porta in salvo, ricorda tanto il mar Rosso che si apre per consentire il passaggio del popolo ebraico, perseguitato e in fuga nel deserto; questo fiume, come quel mare, separa bene e male, decide della vita e della morte. Se Dio esiste, sia fatta davvero la sua volontà. Certo è che Fatma, nella sua traversata, ci ha fatto davvero vedere le stelle.

Dobbiamo ringraziare Gabriele Clima due volte. La prima, per aver scritto questo fantastico romanzo che ti si impasta addosso. La seconda, per averci fatto arrivare la voce di alcuni poeti siriani, le cui liriche aprono ogni capitolo del libro. Restituendoci la voce del deserto, "quella voce silenziosa che alla repressione contrappone sempre  e comunque la bellezza"


E tu che leggi, continua a camminare. Sempre.

"Continua a camminare" - Gabriele Clima - Feltrinelli

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