giovedì 27 luglio 2017

Molly e Mae



Treni, ferrovie, stazioni. Un trittico esperenziale formidabile per i bambini, difficilmente replicabile. 


Provate a portare un bambino la prima volta in stazione, e lo vedrete sgranare gli occhi all'arrivo di quel cavallo di ferro e acciaio chiamato treno.

 
Provate a salirci su quel treno, a farci anche solo un piccolo viaggio a bordo. La meraviglia di attraversare il paesaggio che scorre, con il viso incollato al finestrino; camminare, e correre lungo i corridoi delle carrozze; arrampicarsi in piedi sui sedili. 


Il dilatarsi del concetto di spazio; il muoversi restando seduti. Una continua scoperta capace di coniugare l'azione con la contemplazione. 


Treni, ferrovie, stazioni sono altresì straordinari espedienti letterari, "metaforici", per parlare di altro. Come accade in "Molly e Mae", scritto da Danny Parker e illustrato da Freya Blackwood, edito da Terre di Mezzo. Dove un viaggio in treno lungo un giorno, dalla mattina al tramonto, diventa un modo avventuroso per descrivere l'evolversi di un rapporto di amicizia.


In una giornata trascorsa a stretto contatto, può accadere di tutto. C'è tempo e spazio per giocare, ridere e scherzare; confidarsi, condividere, sognare insieme. C'è anche spazio per l'incomprensione, per una parola detta che crea un solco di demarcazione. 



C'è tempo e spazio per fare pace, mettendo da parte l'orgoglio e dire quelle parole che costano, ma si rendono necessarie per costruire un ponte da attraversare insieme, lasciando alle spalle le buie gallerie del rancore.
 


In una giornata il treno attraversa scenari molto diversi tra loro; così ai paesaggi naturali si alternano quelli interiori, dell'animo umano. Luce e oscurità, sole e pioggia, ma anche gioia e tristezza, condivisione e riservatezza. 



Una menzione speciale alle illustrazioni, eloquenti oltre il significato attribuibile alle parole. Solo loro il valore aggiunto di questo albo. 


Convulse quando si tratta di cambiar gioco ogni 5 minuti, dilatate quando c’è da rallentare il respiro, e aprire lo spazio ai confini dello sguardo. Tratteggiando panorami in cui persino un treno è libero di perdersi. 

Molly e Mae - Danny Parker, Freya Blackwood - Terre di Mezzo Editore

Lampo il cane viaggiatore

 
Nuova edizione "La Bancarella" - Copertina

"Questa è la vita di Lampo, un oscuro cane b******o venuto chissà da dove. Durante gli anni trascorsi in sua compagnia, ho voluto scrivere questa storia semplice e vera. Desidero premettere che in questo mio racconto non sono narrati fatti eroici compiuti da Lampo; né il cane ha salvato la padroncina dalle fiamme, o tratto il padrone dalla furia del fiume, e neppure ha atteso di coronare la sua esistenza con una morte retorica sulla tomba della padrona. Lampo ha solo voluto vivere in un modo diverso da tutti i suoi simili, viaggiando per conoscere non soltanto un po' del nostro mondo, ma anche la vita e i sentimenti degli uomini."

Elvio Barlettani dall'introduzione a "Lampo il cane viaggiatore".

Nuova edizione "La Bancarella" - Illustrazione di Massimo Panicucci
 Questo è un libro insolito. Treni e ferrovie non sono l'oggetto della narrazione, ne sono semmai lo scenario e il tramite per veicolare alcuni contenuti di valenza universale. L'autore del libro è una persona normale, avulsa dal mondo della letteratura, del giornalismo, delle riviste tecniche e scientifiche. Ne consegue che lo stile è molto blando e scorrevole, alla portata di tutti. Una persona normale come tutti noi che si è trovato a vivere una storia che rasenta l'incredibile e ha sentito l'esigenza di raccontarla al mondo. Quando la realtà supera la fantasia non occorrono artifici inutili, i fatti narrano, rapiscono e incantano. Sembra una favola, e non stupisce che questo racconto sia stato utilizzato ripetutamente come tale nelle scuole dato il suo carattere altamente educativo e simbolico.

L'autore è Elvio Barlettani, un ferroviere, e ai tempi della storia era il sottocapo alla stazione di Campiglia Marittima. Campiglia è una delle tanti stazioni della ferrovia Tirrenica Genova - Roma; è tuttavia una stazione importante dove all'epoca fermavano quasi tutti i treni. Da qui c'è la diramazione per Piombino che, con gli stabilimenti Italsider movimentava anche un notevole traffico merci. La vita in stazione scorre quindi allegra. Ma qualcosa è destinato a sconvolgerla e a segnarla negli anni a venire. 

Nuova edizione "La Bancarella" - Illustrazione di Massimo Panicucci
E' l'agosto del 1953 e la stazione è una calicola, quando un cane randagio scende da un convoglio merci (l'autore lo chiamerà "Lampo" per il modo balenante con cui è apparso e gli effetti che ha arrecato) e noncurante di nulla si siede per terra, nell'ufficio di Elvio, e da allora non abbandonerà più quella stazione, fino alla morte. Già da questo gesto iniziale si rivela il carattere di Lampo, che si "sceglie" il proprio padrone e il luogo dove stare e a cui voler tornare alla fine del giorno. Come per tutti i cani anche per Lampo il rapporto con l'essere umano è un momento irrinunciabile della sua vita; ma è un momento dialettico, in cui manifesta la sua volontà di scelta e il suo spirito libero. Lampo si dona ad Elvio e alla sua famiglia, e anche al resto del personale della stazione con tutta la gioia e l'amore di cui è capace. Ma lui ne stabilisce i modi e i tempi. Ecco allora che egli accompagna Mirna, la figlia di Elvio, lungo il tragitto per l'asilo; accompagna Elvio da Campiglia a Piombino dove l'autore ha casa. Ma la sera da solo prende l'ultimo treno che lo riporta a Campiglia, alla stazione che ha eletto a suo personale rifugio. Ecco allora che Lampo che pure non fugge da nessuna parte e ogni sera torna alla sua stazione, di giorno sale ora su un treno ora sull'altro, facendo brevi giretti, nascosto sotto il sedile, per poi scendere ora in un luogo ora in un altro, e riprendere il treno inverso per il ritorno. Lampo impara a conoscere i diversi convogli, a memorizzare i vari orari e i luoghi lungo il tracciato, tanto da guadagnarsi presto sul campo l'appellativo di "cane ferroviere". Quando era in arrivo il treno Torino - Roma con la carrozza ristorante, lui si portava sul marciapiede in attesa che il cuoco si affacciasse gettandogli degli ossi. 

Nuova edizione "La Bancarella" - Illustrazione di Massimo Panicucci
Ovviamente il fatto non era di quelli consueti e la notizia iniziò presto a girare. Iniziarono ad avvicendarsi curiosi di vario genere e la notizia fece presto il giro del paese; ne derivarono articoli su articoli sul giornale, sulla stampa locale prima e poi nazionale. Una volta Lampo fu anche ospite in una Tv nazionale. Tutto questo rumore alla lunga ebbe le sue conseguenze. Non tutti gradivano questo cane che di sua iniziativa saliva e scendeva per carrozze e stazioni, seppur non dando fastidio a nessuno. Le Ferrovie strette tra troppe pressioni e più di una lamentela, intimarono ad Elvio e ai dipendenti dell'impianto di Campiglia di allontanare quel cane, che là non poteva più stare. Ma era del tutto inutile. Si dovette arrivare a prendere una decisione drastica. Alla fine Lampo fu caricato dentro un carro merci diretto al sud a Reggio Calabria dove sarebbe poi stato abbandonato. A centinaia di km di distanza dal suo mondo si sarebbe trovato spaesato, e avrebbe proseguito la sua vita chissà dove. E in effetti Lampo era sparito dalla stazione di Campiglia Marittima, con gli addetti che si interrogavano su che fine avesse fatto. Ad Elvio saliva il rimorso, soprattutto a seguito delle continue insistenze della figlia Mirna che Lampo aveva più volte accompagnato lungo il tragitto per l'asilo. Ogni tanto gli sembrava di vederlo spuntare da un angolo qua e là .. ma era solo illusione. Alla fine si erano dati da fare anche per cercarlo, chiedendo a macchinisti e ferrovieri sparsi in giro per l'Italia se avessero notizie del cane. Ma era tutto inutile. Quando tutti avevano perso le speranze, smesso di farsi illusioni sulla sua sorte e di cercarlo .... Lampo un bel giorno dopo mesi dall'accaduto improvvisamente apparve alla stazione. Ebbe appena la forse di arrivare all'ufficio di Elvio per stramazzare a terra dalla stanchezza. Era consumato da mesi di trascuratezza, uno sguardo perso, spiritato, addirittura pezzi di filo spinato che gli dilaniavano la carne. A Campiglia si diedero da fare per curarlo e metterlo in sesto. Ma il veterinario fu perentorio, dopo quello che aveva passato non si sarebbe più ripreso.

Nuova edizione "La Bancarella" - Quarta di copertina
Una volta ancora il mondo non aveva fatto i conti con Lampo, con la sua dilagante voglia di vita. Lampo non era malato di chissà quale malattia incurabile, non aveva chissà quale infezione o ferita da cui non potesse fisicamente riprendersi. I suoi mali erano interiori e squisitamente umani. Lampo era stato abbandonato dai suoi amici, Lampo era stato tradito e pugnalato nella sua fiducia, Lampo era stato privato della sua libertà che si era scelto, che aveva costruito e negoziato, e che esercitava senza pesare o arrecare danno a nessuno. E che improvvisamente, per chissà quale inspiegabile motivo gli era stata tolta. Questo lo aveva privato della sua fiducia negli uomini e di buona parte della sua vitalità . A differenza degli uomini Lampo alla lunga è riuscito a perdonare, a riprendersi e a riappropriarsi della sua vita. A Campiglia dopo aver pensato seriamente di averlo perso, chiudevano un occhio e anche entrambi, pur di rivederlo com'era. E cos'era diventato. "Uno di loro".

Vecchia edizione Garzanti - Foto di Elvio Barlettani
 
Purtroppo tutte le storie, anche le più belle, giungono alla fine e quella di Lampo è ormai arrivata al capolinea. La sera del 22 Luglio del 1961, nella stazione di Campiglia, un convoglio fa manovra e Lampo vi rimane sotto. Il motivo non è dato saperlo, forse i riflessi non erano più quelli di un tempo, chissà. Il macchinista, bianco come uno straccio, corre verso Elvio, e gli da la triste notizia. "E' come se fosse morto uno di noi" dice il capomanovra con un filo di voce rotta dall'emozione. "Era uno di noi" ribatte Elvio, che vede a distanza una macchia bianca riversa sui binari. Ma non ha il coraggio di avvicinarsi. Lui Lampo vuole ricordarselo come lo ha sempre visto, pieno di vita, come quel lontano primo giorno di otto anni prima. Lampo viene seppellito in stazione ai piedi di un'acacia, in un giardinetto tranquillo.

Vecchia edizione Garzanti - Foto di Elvio Barlettani
Qui finisce la storia di Lampo, non la sua leggenda. Alla stazione di Campiglia è stato eretto un monumento, la statua di un cane che tende la zampa destra, con accanto il berretto d'ordinanza di ferroviere. Questo racconto reale è diventato un libro, edito per la prima volta nel lontano 1962, che ha cresciuto e commosso generazioni di ragazzi e studenti. Per alcuni anni il libro, esaurito, era finito fuori commercio. Ora è stato nuovamente ristampato. Di tutto questo cosa resta. Sicuramente una miriade di insegnamenti, di cui il rapporto tra uomo e cane è tutto sommato il più scontato e banale. Lampo, comportandosi come un uomo, ci ha svelato tanti meccanismi dell'animo umano. Ci ha insegnato che nulla vale quanto la propria libertà , che nessun prezzo è adeguato per barattarla, che nessun agio può ripagarla. La fiducia nel prossimo, il dolore del tradimento, la forza del perdono. Quante cose insegna un cane alternandosi tra le carrozze di un treno e i binari di una stazione.

Vecchia edizione Garzanti - Foto di Elvio Barlettani
 
Elvio Barlettani è recentemente scomparso, nel luglio del 2006. La statua di Lampo è stata imbrattata. Campiglia non è più la stazione importante di un tempo, i treni a lunga percorrenza non vi fermano più. Il mondo scorre più veloce, ma non per questo è un mondo migliore.

N.B.  Il libro è stato edito per anni, e più volte ristampato, dalla Garzanti. Attualmente è pubblicato dall'editore "La Bancarella" di Piombino in una rinnovata vesta grafica, con le illustrazioni di Massimo Panicucci. Le foto storiche al cane Lampo, scattate all'epoca dall'autore Elvio Barlettani, vengono ovviamente riproposte anche in questa nuova edizione.

Lampo il cane viaggiatore - Elvio Barlettani - La Bancarella (precedentemente Garzanti Edizioni)

mercoledì 26 luglio 2017

Un'estate da cani


".. i suoi occhi verdi erano gentili e ci trovai comprensione e un sorriso d'incoraggiamento. Si può trovare un sorriso negli occhi di qualcuno? Credo di si. Accade quando non c'è motivo di sorridere con le labbra, non c'è motivo di sorridere a un mondo spietato ma si vuole sorridere all'animo di qualcuno per dargli speranza".

Un fresco ruscello che attraversa questa estate torrida. Così mi sento di definire "Un'estate da cani", l'ultimo romanzo di Giuliana Facchini edito da Notes. Un racconto che carezza lasciandoti una gradevole sensazione addosso.

Ginevra, detta "Ginni", è una ragazza di quattordici anni (meravigliosi, detto con "ironia"), che si trova a passare l'estate in un piccolo paese con i suoi nonni. E qui sembrano maturare tutti i presupposti per annoiarsi, sebbene i nonni di Ginevra siano delle persone "sui generis", lettori incalliti, amanti di gialli, che ogni mese organizzano a casa loro, con i propri amici, delle "Cene con delitto" ricche di indizi, interrogatori e presunti colpevoli.  Intendiamoci, Ginni adora i suoi nonni che l'hanno cresciuta, essendo figlia di una ragazza madre a soli 17 anni, e che oggi, alle porte dei "trenta" è nel pieno della sua carriera giornalistica. Soprattutto con nonna Marisol ha un rapporto speciale; ma una ragazza di 14 anni anni vorrebbe legittimamente stare con i suoi coetanei, a condividere esperienze e tormenti consoni alla propria età.


Un giorno, passeggiando per il paese ("delizioso", sempre detto con ironia), nota qualcosa di strano. C'è un accalcamento di persone intorno al piccolo fiume che lo attraversa, persone che si danno la mano calandosi in acqua per recuperare.... qualcosa, forse qualcuno. Un cane, malridotto e spaventato, dalle zampe sanguinanti. Tra la folla che si è venuta a creare nota qualcuno, un ragazzo, con le "mani da musicista", la custodia rigida di una "chitarra", uno zainetto e un sacco a pelo, che si toglie la felpa per asciugare e accarezzare il povero cane. Ginevra non può fare a meno di notare quei gesti, e attribuirgli un significato intimo e profondo, ancorché indefinito. Arriva il vigile, soprannominato "Stappo" che si fa carico della situazione chiamando Pietro, il gestore di un rifugio per animali abbandonati, chiamato "Canile Paradiso". Pietro è nipote di Anteo, un anziano signore che fu cacciatore e un giorno decise di mollare tutto, trasformando la propria cascina in un canile, cui si dedicò per anni con grande amore, arrivando a diventare un punto di riferimento per la comunità del luogo. Poi Anteo si ammalò di cancro, e sottoposto a cicli di terapie dolorose non fu più in grado di gestire la struttura, che passò nelle mani del nipote.

Intanto Ginevra perde di vista il ragazzo, e tutto sembra finire li, quando un giorno, passeggiando, vede un cartello che indica il "Paradiso". Anche se lei non sa nulla di cani e non prova un particolare trasporto per essi, la curiosità la porta a seguire l'indicazione e andare a vedere quel cane salvato il giorno prima. Sarà l'istinto da segugio ereditato dai nonni "giallisti"? Sarà che quel cane è l'unico indizio che può ricondurlo al misterioso ragazzo? Fatto sta che nulla è come sembra, e Ginevra scopre che il "paradiso è in realtà un inferno", un "canile lager" dove gli animali sono abbandonati a se stessi senza cibo, in un ambiente che odora di morte. Pietro si intascava i contributi pubblici fingendo di prendersi cura degli animali, poi lasciati abbandonati a sé stessi. Questo fatto la sconvolge. Tornando in paese, trova il misterioso ragazzo suonare per strada racimolando le elemosine, e lo invita a mangiare qualcosa in un'osteria locale. 


I due iniziano a parlare, sebbene Oscar (il ragazzo) sia molto restio a raccontarsi. Ad ogni modo comprende che lui vive suonando per strada, si arrangia dormendo all'aperto all'addiaccio, pur ignorandone la ragione, così decide di ospitarlo di nascosto nel fienile dei nonni. Gli racconta del canile lager, ed entrambi escogitano un piano per far fuggire il cane salvato il giorno prima, medicarlo, pensando nel frattempo ad un escamotage per denunciare la situazione alle autorità senza andarci di mezzo. I due ragazzi riescono nell'intento e salvano il cane (Gandalf), poi ne salvano altri due (una levriera maltrattata che chiameranno Legolas e un piccolo cucciolo che chiameranno Frodo); nel frattempo va avanti il confronto emotivo e conoscitivo tra i due ragazzi e alla fine Oscar rivela la natura del suo peregrinare, nata da un dissidio con suo padre, che gli ha imposto gli studi facendogli passare in secondo piano la sua passione per la sua musica, da lui considerata come passeggera e veniale. Così Oscar, con l'aiuto e la copertura di un suoi amico, fingeva di andare in vacanza da lui e invece finiva con l'andare in giro per strada a suonare, assecondando la propria passione. Finché un giorno a causa di un furto, perde il cellulare e i documenti. Alla fine i genitori scoprono l'inganno e vanno alla ricerca del figlio disperso. 

Ginni e Oscar finalmente escogitano il loro piano. Lei va da Anteo a prendere le chiavi del canile, dicendo che gliele ha chieste suo nipote Pietro. Lui va da Luisa (un'amica di Anteo, volontaria in diverse associazioni animaliste) con la scusa che Pietro la vuole su al canile che deve parlarle. Quando Luisa arriva al "Paradiso" trova il cancello aperto e l'orrendo spettacolo davanti, e chiama la Municipale. E sopraggiunge Stappo, ancora una volta, a risolvere la situazione.



Mentre il racconto sembra avvallarsi verso un tranquillo finale, avviene il colpo di scena, con le sirene spiegate della Polizia che irrompe a casa dei nonni di Ginevra, nel bel mezzo di una "Cena con delitto", dall'auto esce infuriato il padre di Oscar che chiede di sapere dove la nipote tiene nascosto sui foglio. Perbacco, che giallo! E' successo che Oscar, rimasto senza cellulare a causa del furto, aveva chiesto a Ginevra di prestargli il suo per contattare l'amico che lo teneva nascosto (ma nel frattempo era stato smascherato); così il padre ha chiamato il numero, costringendo Ginevra a rivelargli tutto, finendo per ricomporre il quadro. Perché il padre di Oscar è veterinario (di qui le attitudini del figlio a prendersi cura degli animali feriti e maltrattati), e una volta scoperto che lui si era preso cura di quegli animali indifesi, svanisce la rabbia e monta l'orgoglio di famiglia, per l'ottimo lavoro fatto seguendo le proprie orme.

"Scappi per suonare la tua musica e ti ritrovo a curare bestie ferite!", disse compiaciuto, convinto di aver ragione. 

Alla fine Ginevra svelerà il motivo che l'ha condotta a scrivere la storia, ma questo non ve lo svelo, se volete saperlo dovete leggervi il libro che io ho già indugiato troppo a svelarne la trama e i suoi protagonisti.

Io faccio un passo indietro, quando Ginni alza lo sguardo verso l'amico, trovandolo assente.

"Si era rifugiato in quel mondo dove spesso noi ragazzi scappiamo quando gli adulti ci mettono alle strette. E' un mondo statico, una camera di decompressione per quelli di noi che non spaccano tutto a calci per superare una difficoltà. Ci chiudiamo in noi stessi, abbiamo bisogno di un luogo dove riprendere fiato o smaltire la rabbia. Da quel mondo si esce pronti per nuove battaglie o piegati al volere degli adulti. Oscar avrebbe continuato a lottare per diventare un musicista oppure avrebbe accontentato i suoi genitori?

Cosa mi porto dentro di questo libro?

Sicuramente il personaggio di Ginevra, fresco, limpido, dirompente e preciso come una goccia che scava la roccia, pur nella sua adolescenziale inesperienza. Questo è un racconto che tratta in modo dichiarato e aperto il tema del "prendersi le proprie responsabilità". Ginevra se le prende tutte, senza tentennamenti e senza colpo ferire. Dona ospitalità ad un suo coetaneo, fuggito dalla sua famiglia, perché si trova solo in mezzo ad una strada. Sottrae di nascosto dei cani da un lager, con tutti i rischi che questo comporta, perché sono maltrattati e hanno bisogno di cure, meditando sul modo migliore per denunciare l'accaduto. Arriva a calpestare i propri sentimenti svelando ai genitori di Oscar il suo nascondiglio, perché la famiglia possa ricomporsi, e lui finalmente smetterla di fuggire,  per tornare a difendere le proprie ragioni. Ginevra combatte a viso aperto per quel che le sembra giusto, senza sconti e senza alibi, eppure ha solo 14 anni, sebbene in cuor suo si senta "una gregaria, una poco coraggiosa".

Un'altra cosa che mi è piaciuta è il carteggio generazionale che emerge dalle riflessioni che Ginni elabora ascoltando e vivendo l'esperienza di Oscar.

"Pensai che Oscar fosse un poeta, oltre a esser un bravo musicista. Era dotato di una sensibilità tutta sua che lo rendeva fragile e forte. Quello che forse gli adulti non capiranno mai è che noi ragazzi possiamo credere in qualcosa e questo ci dà la forza di realizzarla. Gli adulti sono spesso depressi, parlano male del loro Paese, della società, della politica, ma a noi ragazzi non interessano queste cose perché abbiamo i nostri sogni. Non so se un giorno sarò madre: mi spaventerebbe  avere una figlia come me o un figlio come Oscar. E se dovessi dimenticare quello che ero? E se non sapessi più leggere negli occhi dei ragazzi perché ragazza non sarò più?"

E a me ritornano in mente le fatidiche parole che Giuliana scrisse, all'indomani del Bologna Children's Book Fair, sul suo blog:

"Un altro mio sguardo sugli adolescenti, ancora la mia voglia di raccontarli senza mettermi al loro posto, anche se un po’ vorrei starci nonostante tutto."

In tutto questo l'autrice ci mette il suo solito stile elegante e scorrevole, che crea storie nelle storie, tasche narrative all'interno del romanzo stesso (le "Cene con delitto" hanno una loro piccola autonomia letteraria nell'economia del racconto come la ebbe lo sviluppo del racconto noir di Orma Rossa e le seguenti vicissitudini di Tessa  in "Io e te sull'isola che non c'è"); c'è la consueta commistione di stili, la passione per il "giallo" e il gioco dei riferimenti letterari più svariati (in "Io e Te" le fiabe di Andersen e un certo ascendente dickensiano, qui il fantasy del Signore degli Anelli mescolato a Sherlock Holmes), e un certo modo di osservare i ragazzi che trae spunto dall'osservazione diretta nel loro habitat naturale.

E' un libro che esorta ad avere fiducia nei nostri ragazzi.

"La fiducia. Ah! La esigono, ma non te la danno, te la devi conquistare con le unghie e con i denti. Per i nostri genitori rimaniamo sempre bambini e nn è facile dimostrare loro che siamo pronti a camminare da soli".

Forse Ginevra dei cani non sa nulla, ma ha imparato presto e a proprie spese a fare i conti con la vita. E allora grazie a Ginevra, e grazie a Giuliana, per avercela fatta incontrare.

"Un'estate da cani" - Giuliana Facchini - Notes - Illustrazione in copertina di Cinzia Ghigliano

venerdì 14 luglio 2017

La conchiglia


A ben guardare si tratta di un gesto semplice, che tuttavia impone di relazionarsi con il mondo circostante e il proprio interiore. 


"La conchiglia" di Alex Nogués Otero, illustrato da Silvia Cabestany, edito da Coccole Books, richiama il sapore dei giochi di una volta, quando bastava la curiosità epidermica ad innescare avventure e storie. 


La protagonista, Pamela, è una bambina che passeggia lungo la spiaggia, quando avvista una grande conchiglia che solleva e appoggia all'orecchio, ponendosi la fatidica domanda: "Sarà vero che si sente il mare?"


Da questo gesto, apparentemente innocuo, si innesca un grande viaggio immaginifico ambientato in mare, che vede coinvolti  pirati e sirene, tempeste, capodogli e sottomarini; in una storia circolare che ritorna lì dove tutto ha avuto inizio: nella fervida spiaggia dell'immaginazione, dove ogni fantasia è libera di salpare in mare aperto.

 
Così dal periscopio del sottomarino, si avvista una bambina seduta sulla spiaggia, che aveva una grande conchiglia poggiata all'orecchio ..



Immersi in un mondo che fa rumore, è importante ascoltare la voce della propria marea interiore. Esiste forse musica migliore?

"La conchiglia" - Alex Nogués Otero, Silvia Cabestany - CoccoleBooks

giovedì 13 luglio 2017

Il cane che mangiò la sua ombra



Questo libro mi ha conquistato subito, per il taglio illustrativo netto e dinamico, nel gioco di forme e colori. "Silhouette" di ariosi e caldi contrasti. 


Man mano che lo sfogliavo ho sentito una musica arcana risuonarmi dentro. Qualcosa che veniva da molto lontano, dai giacimenti della mia infanzia.


Mi sono ricordato di Lev Tolstoj, di una sua favola, che mi è rimasta impressa perché presente in un libro di lettura che avevo ai tempi delle elementari. 


Nel secondo dei "Quattro libri di lettura" di Tolstoj, c'è una favola intitolata "Il cane e la sua ombra". Che recita testuali parole:

"Un cane stava attraversando un fiume su una passerella, portando fra i denti un pezzo di carne. Vide se stesso riflesso nell’acqua e credette che lì sotto ci fosse un altro cane, intento come lui a portare in bocca un pezzo di carne. Così lasciò andare il suo pezzo e si lanciò di sotto per strappare quello dell’altro cane. Di quella carne, però, non c’era neppure l’ombra, e la sua venne portata via dalle acque. E il cane restò a bocca asciutta."


In realtà il sapore di questa favola si perde nell'antichità, in quanto già Esopo prima (il cane e l'osso) e Fedro dopo, l'avevano tramandata, e molto probabilmente lo stesso scrittore russo vi si sarà ispirato.


Poi ho aperto quella tavola di celeste e blu fondo, il cane spaesato che interroga la luna, e non ho potuto fare a meno di pensare a Leopardi, al suo meraviglioso "Canto notturno". E mi sono commosso. 


E' straordinario come certe favole, racconti, poesie, ci restino incollati addosso. E' entusiasmante come siffatto libro attraversi le stagioni della letteratura mondiale di ogni epoca, anche se poi finisce con il parlare di altro. Perché questa non è una favola sulla golosa avidità, semmai sulla ricerca di sé, alla scoperta della propria identità. E le illustrazioni di Fer Quirarte traboccano di intensa sostanza narrativa. Seguendo un filo celeste, fatto di sole, di luna e di stelle.


"Il cane che mangiò la sua ombra" - Fer Quirarte - Bibliolibrò

domenica 9 luglio 2017

Il sogno di Youssef



"Se la luna avrà i tuoi occhi
allora il mare si alzerà a guardarla
piangendo lacrime di stelle
".

(Anonimo)


Il mare e la luna, quante volte si incontrano sulla linea del nostro orizzonte, arrivando a sfiorarsi, a lambirsi.



Il mare e la luna segnano lo spartiacque tra sogno e realtà, storia e favola, di un bellissimo libro, scritto da Isabella Paglia e illustrato da Sonia Maria Luce Possentini, edito da Camelozampa.



Chiudiamo un attimo gli occhi, e lasciamoci trasportare dal flusso ondoso della narrazione:

"... Quando i passi dei vecchi del villaggio si fecero pesanti di silenzio e le famiglie partirono senza fare ritorno, fu allora che Youssef e Maryam videro per la prima volta il mare...".
"..Aveva il ritmo della ninna nanna, e quel giorno li separò per sempre..."


Riapriamo gli occhi. Youssef disegna sul muro di calce bianca della propria casa una grande caravella "con vele enormi che si gonfiavano alla brezza del mare, prendendo il volo".

 
Perché la caravella, "è la nave delle scoperte. Me l'hanno raccontato a scuola. E io voglio scoprire dove si trova ora, la mia amica Maryam". Così risponde Youssef alla madre che gli chiede le ragioni di quel disegno. 


Youssef saluta la sua amica che vede allontanarsi a bordo di un barcone, in braccio alla mamma. Tiene in mano una ciabattina che Maryam ha perso sulla sabbia. 

E' l'unica cosa che gli resta di lei, e lui gliela riporterà. Sulla "splendida caravella a vele spiegate che aveva disegnato, e che presto si alzerà in volo. Perché porta dentro il suo sogno".


Chiudiamo un'altra volta gli occhi.

"Le bombe però, presero a morsi le case e le speranze di chi era rimasto. Anche la casa bianca di Youssef crollò, assieme alla sua caravella. Non c'erano più muri per disegnare un'altro veliero."

 

Riapriamoli.

Intorno non è rimasto niente. "I buchi neri delle guerre dei grandi" ingoiano tutto.
Restano i sogni dei bambini, "appesi tra cielo, terra e mare".




E se nella terra intorno non è rimasto in piedi nulla, non resta altro che alzare gli occhi al cielo. In cielo c'è lei, la luna. 

Youssef alza le braccia alla luna, e gli chiede le ali per raggiungere Maryam. 

"I sogni dei bambini trovano sempre un modo per sopravvivere".
 

Fu così che, nel cuore della notte, la luna prese nelle sue braccia Youssef, e come una grande caravella navigò in cielo, sorvolando le colline e il mare. Quando "la ciabattina di Maryam divenne d'argento e sgusciò dalle mani del bambino, cadendo dentro l'acqua d'inchiostro che si riempì di luce". 



La notte non sapeva più di sale, intorno il profumo degli aranci in fiore. Youssef si tuffò.
"I due bambini si abbracciarono, di nuovo insieme. Per sempre".

Così, come dovrebbe finire qualunque storia che azzera quelle diversità prese a pretesto per scatenare le guerre.


Questo è l'inchiostro di Isabella Paglia. Poi ci sono le matite oniriche di Sonia M.L. Possentini che illustrano la storia ai confini del sogno. Un'aurora di blu che allaga la scena legando mare e cielo, e screziature di bianco luce là dove la narrazione impone di squarciare il nero delle tenebre. Un boreale sinfonico di visioni e pulviscoli di stelle, con punte di colore là dove serve, tra gli aranci e le foglie, o su una ciabattina che funge da testimone.

 
Questo libro è una dedica a tutti coloro che non hanno smarrito la voglia di sognare, e a tutti coloro che hanno ancora la forza di commuoversi. Pura poesia. 

"Il sogno di Youssef" - Isabella Paglia, Sonia Maria Luce Possentini